Saluto del Direttore

Prolusione Scuola Biblioteconomia 2009-2010

Ottobre 2009

Mons. Cesare Pasini,
Per una storia della catalogazione in Vaticana: dalle origini alle attuali esperienze


Presentazione
Il tema che propongo riguarda la catalogazione nella Biblioteca Apostolica Vaticana dalle origini sino a oggi: si comprende che desidero toccare solo alcuni aspetti, che in ogni caso segnalano una lunga storia e un'esperienza tramandata attraverso molte persone.
Prima tuttavia di introdurci a conoscere gli esperti che ci hanno preceduto nei secoli, mi è gradito presentare subito gli esperti che ci guideranno nei corsi della Scuola di Biblioteconomia di quest'anno.
Accanto al Vice Direttore, Antonio Manfredi, che è pure docente di Storia delle biblioteche, i docenti sono: Massimo Ceresa per i corsi di Bibliografia e documentazione e di Bibliologia, Giuseppe Ciminello per il corso di Ordinamento generale e servizi di biblioteca, Francesco D'Aiuto per il corso su Il libro manoscritto antico, medievale e moderno, Carlo Federici per il corso sui Principi e metodi di conservazione e restauro del libro, Agnese Galeffi per il corso di Teoria e tecnica della catalogazione e della classificazione, Paul Gabriele Weston per il corso di Biblioteca digitale. E ovviamente non si può tralasciare di nominare la segretaria, Ilaria Biondi, presumo già più nota di tutti noi!
E passiamo a introdurre il tema enunciato: Per una storia della catalogazione in Vaticana: dalle origini alle attuali esperienze.

Introduzione*
Alla Biblioteca Apostolica Vaticana si inventaria e si cataloga da circa cinque secoli e mezzo. La mia impressione, entrando in Biblioteca, prima da “utente” e soprattutto ora da responsabile, è stata quella di una grande tradizione, di una competenza che ha impregnato le mura e le persone “di generazione in generazione”. Forse (e senza forse) vi sono stati (e vi sono) dei limiti, e non tutti questi secoli hanno visto il medesimo impegno e hanno fruttato i medesimi risultati, però l'insieme di questo percorso dice molto della competenza catalografica della Biblioteca Apostolica Vaticana. Del resto, una biblioteca si manifesta nella sua capacità di servire coloro che le si accostano e la frequentano; e uno strumento irrinunciabile di servizio, il primo a cui si accosta un “utente”, è il catalogo o, se si vuole, sono i cataloghi nei loro diversi ambiti e in tutte le loro possibili modalità e specificità. Anche perché inventariare e catalogare, prima che un servizio agli altri è – mi si perdoni il modo banale di esprimerlo – un servizio alla stessa istituzione, che catalogando prende cognizione di quello che ha ricevuto e ha a disposizione: un'autocoscienza preziosa, grazie alla quale e sulla quale si possono meglio fondare e rilanciare ad altre persone informazioni, indicazioni, conoscenze. Già quando operavo in Ambrosiana, ma molto più ora in Vaticana, mi si sono spalancate davanti le ricchezze, i beni più svariati di una biblioteca: mi viene da osservare che il bibliotecario, e nella loro specificità i catalogatori, “toccano” una mole e una quantità di dati, di materiali, di documenti, che lo studioso, doverosamente orientato ad analizzare il proprio ambito di ricerca, non è abituato o indotto a cogliere. A ciascuno il suo, ovviamente. Ma resta il fatto che la vocazione di una biblioteca e di coloro che vi operano ha questo prezioso e positivo connotato: di coltivare una conoscenza complessiva di quei beni culturali che ha ricevuto e che si industria a far conoscere e a porre a servizio di quanti desiderino fruirne.
L'approccio con cui ho iniziato questa presentazione trova un suo pratico punto di verifica nella pagina web del sito della Vaticana (www.vaticanlibrary.va) dove, sotto la dicitura complessiva di Cataloghi on line, vengono presentati il Catalogo Manoscritti, il Catalogo Stampati, il Catalogo Stampe e Disegni, il Catalogo Monete e Medaglie. E devo subito osservare che i materiali oggetto di catalogazione in Biblioteca non si riducono alle sei categorie enumerate nei quattro cataloghi ora elencati: vi si debbono infatti aggiungere gli archivi (che saranno inseriti on line in un prossimo futuro), e si potrebbero anche ricordare, con una esemplificazione che non pretende di essere esauriente, le placchette plumbee o le bolle plumbee (conservate insieme a monete e medaglie) la raccolta delle legature sciolte dei manoscritti, i dipinti e gli oggetti d'arte presenti in biblioteca. Non per nulla la commissione della Vaticana che sovraintende a questo ambito e, come recita lo Statuto (art. 80), «decide ed aggiorna le norme di catalogazione», reca un significativo plurale nella sua denominazione, essendo appunto definita come Commissione per le Catalogazioni.
Ripercorrere la storia della catalogazione di tutti questi materiali non è certo l'oggetto di questo mio intervento: sarebbe troppo esteso. Scelgo un percorso più limitato, anche se articolato: in un primo momento, più ampio, considererò le fasi di vita e di catalogazione della Biblioteca per quanto concerne i manoscritti: sono essi infatti i beni che la costituiscono sin dalle origini e quelli che hanno attirato più di tutti l'impegno di descrizione; in un secondo momento, mi soffermerò su un periodo particolarmente significativo per la catalogazione degli stampati, nel secondo quarto del Novecento; in un terzo e ultimo momento esaminerò la situazione attuale: in concreto, alcuni aspetti connessi alla catalogazione informatizzata e al renderne accessibile il frutto nella rete.

1. La catalogazione dei manoscritti (nelle sue successive fasi)


1.1. Le inventariazioni dei manoscritti nell'età fondativa umanistica e rinascimentale
La moderna Biblioteca Vaticana ha la sua origine a metà del XV secolo (era stata preceduta da altre biblioteche pontificie che non entrano nell'ambito di questo intervento). Sin dai primi decenni della sua esistenza ci si preoccupò di inventariarne i fondi manoscritti: Vespasiano da Bisticci, biografo del papa fondatore Niccolò V Parentucelli (1447-1455) e del primo bibliotecario Giovanni Tortelli, sottolinea che quest'ultimo “aveva fatto inventario” dei libri posseduti. In effetti, a pochissimi giorni dalla morte di Niccolò V, il bibliotecario del successore Callisto III Borja (1455-1458), l'agostiniano spagnolo Cosimo di Montserrat, poté rapidamente allestire alcune liste parziali e soprattutto due elenchi completi dei codici latini e greci, uno per ciascuna lingua, a marcare la distinzione in due parti della nuova ricca raccolta (circa 1200 manoscritti, di cui oltre 400 greci). Gli inventari allora allestiti – anche con materiali lasciati dal Tortelli, come sta emergendo dalle ricerche più recenti – sono, per i tempi, di qualità notevole: attenti sia al contenuto sia, seppure molto più rapidamente, alla forma esterna dei libri. Essi sono tuttora utili per identificare i codici ancora conservati del fondo originario: un confronto con altre analoghe imprese coeve mostra la competenza dei primi bibliotecari della nostra istituzione, ma anche l'ampiezza del materiale già allora disponibile.
Dopo queste prime imprese, per circa un secolo, fino al 1550, fu allestita una serie numerosa di inventari: circa una quindicina, alcuni completi, altri parziali, alcuni ufficiali, altri redatti da privati in accordo con l'istituzione. La gran parte di questi materiali è ancora inedita, anche se da qualche anno se ne è iniziato uno studio sistematico, affrontato anche con mezzi informatici. È merito di Bartolomeo Platina, il quarto bibliotecario cui Sisto IV della Rovere (1471-1484) affidò la ristrutturazione della raccolta a partire dal 1475, aver affinato il sistema di catalogazione. Esso prevedeva una sorta di descrizione standardizzata, che includeva sintesi del contenuto, supporto scrittorio, stato e colore della legatura. Le descrizioni erano disposte in ordine topografico seguendo la disposizione dei singoli volumi all'interno della struttura così come era allora articolata: i libri avevano un posto fisso soprattutto nelle sale di consultazione, garantito da catene, erano disposti secondo un'architettura culturale e potevano quindi essere reperiti attraverso la copia indicizzata per autori dell'inventario, disponibile presso i custodi. Gli inventari successivi si attennero a questa formula veramente innovativa e sicura, aggiungendo, a seconda delle necessità, dati e aggiornamenti: ad esempio, nel 1533, dopo il sacco dei lanzichenecchi, fu aggiunto un sistema di reperimento sicuro dei manoscritti (e dei pochi stampati censiti). Nel 1550 si colloca un'ultima svolta importante, per questo tipo di inventari: l'applicazione cioè di segnature generali e l'allestimento di un inventario non più topografico, ma bibliografico. Il redattore, lo spagnolo Ferdinando Ruano, catalogò con attenzione il contenuto di tutti i libri, allestendo poi un indice minuzioso autore per autore. Senza questo prezioso e tuttora ben consultabile indice non si sarebbe potuta facilmente trasferire tutta la raccolta dalle sale della prima sede (all'interno del palazzo vaticano) a quelle del nuovo edificio progettato dall'architetto Domenico Fontana e realizzato, tra la fine del 1587 e il maggio del 1589, sulla grande scalea (realizzata dal Bramante) che divideva il cortile del Belvedere da quello oggi detto della Biblioteca.

1.2. La nuova sede e gli Indices dei Ranaldi
In quegli anni, quindi, sotto il pontificato di Sisto V Peretti (1585-1590), la Biblioteca fu riorganizzata nell'edificio che occupa tuttora, al piano superiore che reca appunto il nome di Salone Sistino, e nel contempo fu intrapresa una nuova e dettagliatissima inventariazione, organizzata da eccellenti custodi venuti da una stessa famiglia: i Ranaldi, che operarono in Vaticana negli ultimi decenni del XVI secolo e i primi decenni del secolo seguente. A loro si deve l'allestimento di un vero “monumento catalografico” costituito da una serie di volumi di Indices manoscritti progressivi che, a partire dal fondo originario, si estesero poi alle nuove acquisizioni. La compilazione di questi strumenti sicuramente prendeva avvio dall'esperienza remota degli indici del Platina e del Ruano, ma si applicò con molta maggiore accuratezza nel rilevamento di autori e opere, i cui titoli per la prima volta vennero corredati dalle trascrizioni degli incipit; le schede per ciascun codice fornivano anche qualche dato sulla condizione esterna e una proposta di datazione, di carattere ancora schematicissimo e provvisorio, ma pur significativa per i tempi. Per poter allestire questa catalogazione furono compiute rilevazioni attente sui manoscritti e sugli inventari precedenti, rilevazioni che confluirono in alcuni volumi di minute, tuttora conservati a parte, e poi trasferite nelle copie in pulito, allestite in grandi volumi in folio. Per usufruirne meglio si provvide anche a compilare indici collocati alle fine di ciascun volume. Il lavoro avviato dai Ranaldi divenne una costante della vita catalografica della Vaticana: tra XVII e XIX secolo custodi e scrittori si sono avvicendati a compilare i tomi, a seguito di questi primi volumi, seguendone modello e accuratezza e allestendo anche tomi singoli di indici più complessivi. L'impresa si chiuse di fatto nella seconda metà del XIX secolo, con gli ultimi volumi dedicati ai fondi vaticani latino e greco, compilati sotto la guida del grande erudito Giovanni Battista de' Rossi, noto come archeologo, ma assai attivo anche come scrittore della Vaticana.
A parte dovrebbero essere considerati i fondi chiusi, giunti in Vaticana a partire dal secolo XVII: le raccolte Palatina (1623), Urbinate (1657), Reginense (1690), Capponi (1746) e Ottoboni (1748), per citare solo le maggiori. Per esse furono approntati strumenti di differente valore, che dal rilevamento del posseduto si allargavano a una vera e propria catalogazione erudita manoscritta. Molti di questi indici, in ogni caso, sono ancora di grande aiuto, alcuni addirittura indispensabili per accostarsi ai rispettivi fondi manoscritti.

1.3. L'impresa degli Assemani e l'avvio di un catalogo a stampa
Un'altra operazione decisiva di età moderna fu il tentativo di avviare una catalogazione a stampa: anche questo progetto, solo in parte realizzato, nacque da una famiglia di custodi, gli Assemani (in particolare i Primi custodi Giuseppe Simonio e Stefano Evodio). Essi, di provenienza mediorientale, si rivolsero dapprima ai fondi meno noti ma non meno interessanti, quelli appunto nelle lingue del vicino oriente. Il cammino di queste prime catalogazioni a stampa vaticane giunse a una certa completezza, anche se non arrivò a coprire tutti i fondi, come accadde invece, ma su un numero ben più ridotto di volumi, per la catalogazione dell'erudito toscano settecentesco Angelo Maria Bandini nei suoi grandi volumi in folio dedicati alla Biblioteca Laurenziana. Tuttavia l'opera degli Assemani si inquadra – e pure in questo la Vaticana fu anche allora al passo con i tempi – nella stagione della grande erudizione bibliotecaria italiana, che diede prove notevoli in figure come Ludovico Antonio Muratori, o come il già ricordato Bandini. E non è un caso che gli Assemani abbiano operato già negli anni di papa Benedetto XIV Lambertini (1740-1758), dotto e colto pontefice di origine bolognese, collezionista lui stesso di volumi preziosi (ora alla base della Biblioteca Universitaria di Bologna) e amico ed estimatore del Muratori.

1.4. L'Ottocento e il Novecento fra tradizione e innovazione
Con la riforma voluta da Leone XIII Pecci (1878-1903) e sotto la guida del prefetto gesuita Franz Ehrle (1895-1914), si introdusse una più aggiornata concezione della Biblioteca, che fu resa disponibile a un pubblico più ampio di ricercatori e storici: nel 1892, in particolare, fu aperta l'attuale Sala di Consultazione degli stampati (Sala Leonina), dove furono collocati trentamila volumi a diretta disposizione degli studiosi; e furono pure stabiliti nuovi orari di apertura. Quei decenni furono anche il periodo di una consistente acquisizione di libri e di interi importantissimi fondi: si pensi all'acquisto, nel 1902, della Barberiniana, che giunse in Vaticana con una inventariazione manoscritta propria, opera in gran parte di un'altra esperta famiglia di bibliotecari, i Pieralisi.
Tornando per ora alla catalogazione dei manoscritti, quegli anni videro l'avvio di un nuovo sistema catalografico a stampa, la cosiddetta series maior. La formazione tedesca di Ehrle infatti contribuì a far preferire alla Vaticana un modello di descrizione analitico e ben normato, in parallelo ad altre analoghe imprese allora avviate: ad esempio quella della Biblioteca imperiale di Berlino condotta da Valentin Rose. E ciò in opposizione a una scelta ben diversa, applicata ad esempio da Falconer Madan alla Bodleian Library di Oxford, la quale prevede inventariazioni più rapide, quindi più fragili e meno ricche di dati, ma anche più rapidamente disponibili al pubblico degli utenti. Il costume della corte di San Pietro – come amava definire questo approccio minuzioso il più acuto dei filologi dell'umanesimo italiano, Giuseppe Billanovich – si mostrava dunque tanto diverso da quello della corte di San Giacomo e portò frutti notevoli in una serie di importanti volumi che ripartirono, per il fondo Vaticano latino, dai numeri iniziali, ma si aprirono anche alle code e agli ultimi acquisti promossi da Ehrle. Già i primi due volumi della serie, usciti nel 1902, recavano le Leges, norme di catalogazione da allora mantenute sostanzialmente costanti e sulle cui indicazioni sono stati realizzati quasi cinquanta volumi, con una continuità che fa oggi definire quel modo di catalogazione come il “modello vaticano”. Allo stesso modo ci si mosse per il fondo greco, la cui catalogazione a stampa è oggi quasi ultimata, e per alcuni fondi in lingue minori. I tempi di realizzazione di un simile progetto si sono dimostrati necessariamente lenti, soprattutto per i numerosissimi libri e documenti in alfabeto latino.
Ecco quindi avviarsi nella Vaticana del Novecento anche progetti per strumenti più rapidi. Anzitutto, nel secondo quarto del secolo, il cosiddetto “Catalogo Bishop”, in realtà un indice-schedario alfabetico impostato da William Warner Bishop (1871-1955), decano dei bibliotecari americani e direttore della biblioteca dell'Università del Michigan ad Ann Arbor, nell'ambito dell'ampia collaborazione con la Vaticana della Carnegie Endowment for International Peace (di cui dirò più oltre parlando della catalogazione degli stampati): dai testi contenuti nelle migliaia di manoscritti interessati al progetto furono indicizzati nomi, titoli, incipit e soggetti (latamente intesi), producendo così, nel breve volgere di poco più di un decennio (1928-1939), uno strumento preziosissimo e di grande qualità per gli studiosi (ben 134 cassetti di schede); vi aveva prestato opera in particolare un gruppo di giovani paleografe, le prime donne a entrare in Vaticana per una collaborazione di lavoro. Nei decenni successivi furono inoltre pubblicati i primi tentativi di catalogazione sintetica o specificamente settoriale, incrementati sotto la prefettura del domenicano Leonard Boyle (1984-1997), che appunto – come del resto lo stesso Bishop – veniva, per metodi di studio e di approccio al manoscritto, dalla tradizione anglosassone. La coesistenza di questi modelli, solo in apparenza contraddittoria, in realtà mette in luce la straordinaria ricchezza non solo del materiale disponibile, ma anche dei tentativi di dominarlo attraverso strumenti differenti, cercando così di corrispondere a necessità e tipologie diverse di materiali. Non vanno del resto dimenticati gli indici manoscritti delle collezioni archivistiche, che necessitano di criteri descrittivi propri; oppure l'inventariazione, ben affrontata negli ultimi anni, dei carteggi e degli autografi, di cui pure la Biblioteca Apostolica è ricca.

2. La catalogazione degli stampati (e la Carnegie Endowment for International Peace)
Giunti sin quasi ai nostri giorni nell'indagine sulla catalogazione dei manoscritti, riprendiamo quest'ultimo periodo, il Novecento, con uno sguardo sulla catalogazione degli stampati. Ovviamente non mancavano volumi dedicati agli stampati nella serie degli inventari ranaldiani. Ma fu alla fine dell'Ottocento che si prestò a essi un'attenzione specifica grazie al rinnovamento, cui già accennavo, promosso da papa Leone XIII e sostenuto dal prefetto Ehrle. Sotto la prefettura di Achille Ratti (1914-1918), poi, fu compiuta una completa revisione degli stampati della Sala di Consultazione e fu organizzata la trascrizione su schede dei contenuti degli antichi inventari: era un passo significativo, anche se con i limiti di una catalogazione che non poteva ancora disporre di personale preparato e di regole stabilite.
Il passaggio radicale si ebbe nel secondo quarto del secolo, grazie al coinvolgimento, dal 1927 al 1947, della Carnegie Endowment for International Peace, una fondazione americana nata nel 1910 per promuovere la pace e la cooperazione fra le nazioni. Per parte vaticana, erano gli anni di Giovanni Mercati, prefetto (1919-1936) e poi bibliotecario (1936-1957), e di Eugène Tisserant, scriptor orientalis (1908-1930) e poi pro-prefetto (1930-1936); e soprattutto erano gli anni di papa Pio XI Ratti (1922-1939), che era stato prefetto della Vaticana e non solo approvò la collaborazione con la Carnegie Endowment ma nel marzo 1928 decise di destinare alla Biblioteca un grande spazio sotto la Galleria Lapidaria, che divenne (ed è tuttora) il grande deposito degli stampati della Biblioteca: disposto su sei piani, nei tre superiori si estende quanto il lato maggiore del Cortile del Belvedere (circa 120 metri), mentre nei tre piani inferiori si ferma alla metà. Oltre al grande aiuto finanziario della fondazione, si ebbe un fruttuoso incontro e scambio fra “vaticani” e “americani”, con la spedizione di alcuni catalogatori vaticani negli Stati Uniti (alla Library of Congress e ad Ann Arbor nel Michigan) e con la presenza di personale americano in Vaticana. Per parte della Carnegie Endowment, oltre al coinvolgimento convinto del presidente Nicholas Murray Butler (1862-1947), furono pure chiamati, fra gli altri, il già ricordato William Warner Bishop, James Christian Meinich Hanson (1864-1943), responsabile del gruppo statunitense in Vaticana, il norvegese John Ansteinsson (1893-1961), bibliotecario della Norges Tekniske Hòiskole di Trondhjem. In Vaticana venne così a operare un vero e proprio team internazionale in cui, come è stato ricordato, l'italiano, il francese, l'inglese, il tedesco, il norvegese e un po' di latino si mescolavano gustosamente in una sorta di lingua franca composta dall'insieme di tutti questi idiomi.
Ma soprattutto si mescolavano e si arricchivano reciprocamente le competenze, le esperienze e le sensibilità, e ne veniva favorito uno slancio operativo su più fronti, in parte già ricordati: il “Catalogo Bishop” dei manoscritti, l'aggiunta del grande magazzino degli stampati, la razionalizzazione e riorganizzazione della Sala di Consultazione degli stampati, la nascita della Scuola di Biblioteconomia, quest'ultima proprio a seguito della comune riflessione e sperimentazione riguardo alla catalogazione degli stampati.
Ed è su questa che desidero soffermarmi un poco. Dai confronti serrati fra il gruppo statunitense e quello vaticano e dalla comparazione fra le regole americane, italiane e francesi, si addivenne a un codice catalografico, che in molte parti figurava come “traduzione italiana con modifiche” delle regole britannico-americane: si facilitava così l'uso in Vaticana delle schede stampate dalla Library of Congress, e si rendeva anche possibile un eventuale futuro utilizzo delle schede vaticane in America. Per le intestazioni si diede prevalenza alla forma latina rispetto all'italiana; mentre come guida per la realizzazione di un soggettario in italiano fu scelto il Subject Headings used in the dictionary catalogues of the Library of Congress. Nel 1931, a conclusione della fase di valutazione e decisione, furono pubblicate le Norme per il catalogo degli stampati, le famose regole catalografiche della Vaticana che negli anni successivi furono tradotte in inglese, spagnolo e francese ed ebbero diffusione in diversi paesi. Il resto fu un diuturno, accurato lavoro di catalogazione, di fondo in fondo a coprire l'intero patrimonio vaticano degli stampati.
Oggi, grazie alla conversione retrospettiva del catalogo cartaceo compiuta nella prima metà degli anni Novanta, tutte queste schede sono reperibili nel catalogo informatico della Biblioteca.

3. Oggi e domani
Siamo così tornati al punto d'inizio di questo intervento, quando discorrevamo dei diversi cataloghi interrogabili sul sito della Biblioteca. Riguardo all'oggi vorrei tralasciare le molte questioni riguardanti l'impostazione di un simile catalogo sia a livello biblioteconomico sia a livello più specificamente informatico.
Desidero piuttosto richiamare solo alcune questioni più vive, molto legate alla realtà della Biblioteca Apostolica Vaticana in questi mesi o anni, e soprattutto molto legate alla mia esperienza personale. Darò un'immagine meno completa e ordinata, ma forse permetterò di conoscere ciò che più ci provoca e ci fa riflettere e talora anima le nostre discussioni.
Parto dal fatto che i cataloghi sono vari e riferiti a differenti materiali, ma sono allo stesso tempo coordinati fra loro. Anzi, molto presto (l'attesa è dovuta solo alla previa risoluzione di una condizione di carattere meramente tecnico-informatico) si prevede di fornire on line un catalogo unitario di tutti i materiali. Lo si può ritenere utile – anzi veramente rilevante – per certe ricerche, quando, adoperando questa interrogazione integrata, si giunge a delineare mappe concettuali che attraversano le diverse tipologie documentarie e generano quindi informazioni e conoscenze poliedriche su di un determinato autore, epoca storica o argomento; può ovviamente essere inutile e controproducente per certe altre ricerche, quelle cioè che producessero soltanto un ampio “rumore” di disturbo nei risultati; ma in ogni caso la realizzazione di un catalogo unitario dice la stretta connessione fra le differenti catalogazioni e fornisce quindi de facto una visione unitaria del patrimonio bibliografico della Biblioteca.
Ovviamente questa connessione non si improvvisa: nasce anzitutto da una “conversione” – diciamo una conversione della mente e del cuore “catalografici” –, poiché i catalogatori dei vari ambiti (e non solo loro) si trovano intrecciati e reciprocamente dipendenti, e accettano quindi una minore autonomia nelle proprie scelte; e si richiede ovviamente, nel concreto, il rispetto di regole comuni (si pensi all'uso di un unico authority file) e una competenza sempre più adeguata anche in ambito informatico. Si aggiunga che si tratta di accostare catalogazioni in parte fra loro assimilabili in parte reciprocamente più autonome: in Vaticana gli stampati, le stampe e i disegni, le monete e le medaglie sono catalogati utilizzando uno stesso strumento informatico, egregiamente applicabile a tutti questi materiali; per i manoscritti e gli archivi si usa invece un altro strumento elaborato all'interno della Biblioteca e che si conforma per i manoscritti allo standard internazionale messo a punto dal consorzio TEI (Text Enconding Initiative) e per i documenti d'archivio alla normativa EAD (Encoded Archival Description). Per i manoscritti (per gli archivi la sperimentazione è ancora ai primi passi) le fonti di immissione dei dati sono, per ora, tre: il recupero dell'indice-schedario alfabetico di Bishop, l'inserimento dei dati essenziali tratti da cataloghi a stampa e l'inserzione della bibliografia (corrente ma anche pregressa) dei manoscritti: si tende cioè a fornire alcuni dati essenziali e a rimandare per il resto alle pubblicazioni a stampa. Ma alla base di tutti i materiali, catalogati sull'uno o sull'altro strumento informatico, sta in ogni caso una raffinata connessione che permette di coordinare i dati e, quale frutto ultimo, di gestirli e interrogarli in piena efficienza.
Quando si cataloga all'interno di questi progetti, si compie anche una curiosa scoperta: nelle basi dati e ancor prima nelle schede e in genere nelle catalogazioni che ci hanno preceduto e alle quali si attinge, si rinvengono errori, imprecisioni, lacune, che appunto la catalogazione informatica fa spietatamente emergere. Talora ci si imbatte subito in queste “sorprese”, più spesso le si coglie dopo, nell'occasione di una revisione o di un accorpamento di dati. È certo molto bello sapere che lo strumento informatico imponga di “pulire” le informazioni, quelle a noi antecedenti e le nostre, e di rispettare con meticolosità le regole e di inserire con scrupolosità i dati: ma tutto questo richiede molta pazienza e concentrazione, e spesso tempi non lievi di recupero all'interno del lavoro.
Mi si permetta un'osservazione che nasce dal cosiddetto “progetto sicurezza” che stiamo attuando in Biblioteca in questi anni, un progetto cioè che permette di identificare ogni volume, grazie a un microchip che lo collega in radiofrequenza alla base dati del catalogo informatico, e di controllarne la presenza nella sua posizione e di tracciarne l'eventuale percorso all'interno dell'edificio, oltre a garantirlo da una uscita indebita. Poiché il progetto è realizzabile solo se ciascun volume risulti registrato nel catalogo informatico della Biblioteca, si è dovuto previamente condurre una verifica a tappeto nella Sala di Consultazione degli stampati e si sta ora procedendo nei vari piani del deposito stampati: sono “emersi” volumi mai catalogati e ci si è pure accorti di carenze anche nella catalogazione dei nostri predecessori (magari proprio da quelli che nella prima metà del Novecento avevano approntato con tanta sapienza le regole di catalogazione diffuse poi in tutto il mondo). Ovviamente questo non crea alcuno scandalo – piuttosto aiuta a essere umili pensando alle carenze che i nostri successori presto o tardi rileveranno nel nostro operare –, ma certamente richiede maggior lavoro e, se non altro, conferma l'esperienza secondo cui l'introduzione della strumentazione informatica richiede, e anche facilita e stimola, una “pulizia” molto rigorosa!
Un altro aspetto, connesso alla catalogazione, è quello delle immagini da allegare ai cataloghi on line: in Vaticana vi si sta provvedendo, in modalità pressoché generale, per le stampe e i disegni e per le monete e le medaglie; si è pure iniziato a inserire immagini di manoscritti, esemplificate in uno o due fogli per elemento descritto; allo stesso modo si prevede di operare in futuro per incunaboli e cinquecentine. Sono strumenti di entità apparentemente modesta, ma che risultano preziosi a quanti consultano i cataloghi on line, per compiere verifiche, identificazioni, confronti. Per rendere adeguatamente funzionante questo servizio e per garantirne la continuità, si deve ugualmente predisporre la conservazione delle immagini sia identificando un adeguato formato di conservazione sia predisponendo un sufficiente storage (deposito). Non è questa la sede per ampliare questo ambito di discorso, che diventa ancor più delicato e complesso quando si debba digitalizzare e conservare una mole ampia di dati (si pensi alla sola digitalizzazione dei settantacinquemila manoscritti della Vaticana!), ma è ovviamente un fondamento necessario per non lavorare invano a collegare le immagini alle descrizioni catalografiche.
Un ultimo aspetto si riscontra nella catalogazione informatizzata: la globalizzazione. Lo rilevo in senso positivo. Non solo esistono ormai numerose istituzioni internazionali, che facilitano il confronto o il coordinamento fra biblioteche e istituzioni di analogo impianto – si pensi, fra tutte, a IFLA, che ha avuto il suo Congresso annuale nello scorso agosto a Milano –, ma è in corso un lavoro di coordinamento globale, che inorgoglisce per le possibilità oggi offerte, dà fierezza quando si ha possibilità di esservi coinvolti, ma soprattutto conforta per il significato di unità e collaborazione fra popoli e culture che esso esprime. Penso, ad esempio, ai Principi internazionali di catalogazione di recente pubblicazione, frutto di anni di lavoro dei delegati delle più importanti agenzie nazionali catalografiche, tra cui la Vaticana, riunitisi in un Commissione di esperti di catalogazione, sotto l'egida dell'IFLA. Penso, ancor più, alla possibilità, promossa dal VIAF (Virtual International Authority File), di creare un'authority file di impostazione universale (che colleghi linguaggi e scritture dei differenti popoli: latini e anglosassoni, indiani, cinesi, giapponesi...). La Vaticana, da poco inserita in questa istituzione insieme alla Library of Congress, alla Deutsche Nationalbibliothek, alla Bibliothèque Nationale de France e all'Online Computer Library Center (OCLC), coglie tutta la bellezza, pratica e simbolica insieme, di una simile iniziativa.

4. Conclusioni
Le conclusioni vogliono essere semplici e veloci, come è giusto che sia quando ci si avvia al termine di un intervento piuttosto ampio.
La prima conclusione che deriva da tutto il “racconto” proposto è che il mondo della catalogazione e la comunità dei catalogatori non è collocata in un contesto di monotonia statica: piuttosto è una realtà che si muove, con responsabilità e genialità, verso le nuove mete che le si propongono e che in questo periodo non sembrano proprio di poco conto.
La seconda conclusione è che si tratta di un compito, che è poi un servizio, molto esigente, non immediato nei suoi frutti, e tuttavia davvero prezioso: per i frutti che tornano a vantaggio degli svariati “utenti” delle biblioteche, quindi per il sostegno che offre alla ricerca culturale, e non da ultimo per quello spirito di universalità che anima ogni autentico approccio culturale e che trova un suo pratico e simbolico corrispettivo nella catalogazione informatica sempre più globalizzata.

4.1. Auguri
È in questo spirito che porgo il mio augurio a tutti, docenti e studenti, per l'anno accademico che oggi viene inaugurato. È un anno in cui la Biblioteca Vaticana si prepara alla riapertura che avverrà nel prossimo autunno: abitando in questa area protetta, senza muratori né polveri o rumori, avete meno percezione dei lavori in corso (salvo non poter frequentare la biblioteca!), ma vorrei ci sentissimo solidali: si tratta pur sempre, per voi, di apprendere come operare in una biblioteca, e per noi come riuscire a operare di nuovo in una biblioteca che ci organizziamo e predisponiamo a riaprire. Uniti da questa impresa comune, iniziamo il percorso di questo anno: ve lo auguro proficuo e - se permettete - in buona armonia.


Mons. Cesare Pasini
Direttore della Scuola di Biblioteconomia
Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana

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* Molti dati presentati in questo contributo sono stati gentilmente forniti da Antonio Manfredi, Paola Manoni, Luigina Orlandi, Ambrogio Piazzoni: li ringrazio vivamente.

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