Saluto del Direttore
Prolusione Scuola Biblioteconomia 2018-2020
8 ottobre 2018
Mons. Cesare Pasini,
Paul Canart: bibliotecario e catalogatore
Ho scelto quest'anno di presentare in questa prolusione la figura di mons. Paul Canart, che fu per sessant'anni alla Biblioteca Vaticana, ricoprendo vari incarichi e poi come pensionato assai operoso. Non spaventiamoci che sia stato in Vaticana per così tanto tempo: vi era giunto nel 1957 e venne a mancare lo scorso anno, 2017. Il 24 novembre 2004, in una conferenza a Liegi alla Società Dante Alighieri, rievocando i suoi cinquant'anni alla Vaticana (a dire il vero erano allora sono quarantasette, ma Canart amava ricordare il numero di anni passati in Biblioteca, magari arrotondandoli), aveva ricordato l'espressione, che «padre Franz Ehrle, gesuita rinnovatore della Vaticana al passaggio dal XIX al XX secolo, diceva agli impiegati che assumeva: "La paga è poca, ma le prospettive di vita lunghe"».
Canart insegnò fra l'altro alla Scuola di biblioteconomia e per alcuni anni ne fu anche direttore. Nella conferenza a Liegi, così ricordava la Scuola e il suo insegnamento: «Ho ricevuto anche l'incarico di dirigere la Scuola di biblioteconomia annessa alla Biblioteca Vaticana. In un anno [ora in due!] forma bibliotecari di base, secondo un orientamento in cui la pratica tiene il passo sulla teoria (la pratique a le pas sur la théorie). Questo fa il successo del suo diploma, riconosciuto dallo Stato italiano. Dal 1979/80 al 1998/99 vi ho tenuto un piccolo corso d'iniziazione al libro manoscritto e alla sua catalogazione, e l'ho diretta dal 1979/80 al 1984/85 (sempre in mancanza di uno più competente). L'uditorio era allora composto da un centinaio di studenti e studentesse. A parte la modestia, sono riuscito a interessarli ai manoscritti e a darne loro un'idea abbastanza esatta, e capita ancora che sull'autobus o uscendo da una chiesa, un antico studente mi si accosti, mi saluti e ricordi con nostalgia i bei tempi della Scuola. Furono bei tempi, salvo forse al momento degli esami, quando bisognava coniugare precisione e rapidità».
Desidero qui presentare la figura di mons. Canart, utilizzando in particolare due tipi di documentazione: da un lato, le sue pubblicazioni, soprattutto quelle degli ultimi decenni, nelle quali ci ha offerto sintesi preziose sugli argomenti da lui trattati e, al contempo, ci ha parlato di sé, della sua ricerca, del suo lavoro, della sua esperienza (come, ad es., nella conferenza di Liegi appena ricordata); d'altro lato, quello che potremmo chiamare il suo archivio (di cui tuttavia ho potuto fare solo una veloce scorsa, utile però a raccogliere documenti preziosi grazie a qualche intuizione del momento o per gentile aiuto della provvidenza!): si tratta di 72 scatoloni di suoi materiali pervenuti in biblioteca dopo la sua morte e che si dovrà procedere a ordinare con un lavoro lungo e impegnativo.
Paul Canart fu catalogatore di manoscritti e, soprattutto nei primi periodi della sua presenza in Biblioteca, quando non era distratto da altri incarichi, riuscì a far uscire a cadenza regolare cataloghi di manoscritti greci secondo le tradizionali norme della Biblioteca Vaticana: catalogazioni dettagliate, idealmente esaurienti, che hanno la loro ideazione nel prefetto Franz Ehrle (a differenza dei Short title catalogues di impostazione inglese, più sintetici, evidentemente approntabili in tempi più veloci, ma non così articolati ed esaurienti). Il cardinal Farina, con un'altra espressione sintetica nella Messa in trigesimo, ricordava: «Si può dire, approssimativamente, che ogni cinque anni pubblicava un volume del catalogo dei manoscritti che gli era stato affidato, e anche altro, ovviamente».
Non ho motivo qui di entrare nel dettaglio delle variazioni/innovazioni introdotte da Canart nei suoi cataloghi di manoscritti greci. Desidero piuttosto soffermarmi sulle caratteristiche del (buon) catalogatore di manoscritti (forse utili, con adattamenti, anche a catalogatori di altri materiali). Canart ne parlò in dettaglio nella citata conferenza/lezione tenuta l'11 novembre 2004 all'Università di Tor Vergata. In essa, significativamente, espresse all'inizio i motivi dell'argomento scelto. Ci interessa anzitutto la «prima ragione», indicata come «d'ordine personale. Il mio primo e principale mestiere, per la durata di quarantun anni, è stato quello di catalogatore di manoscritti greci;è per assolvere a questo compito che, nel luglio del 1957, ricevetti il biglietto papale di nomina a "scriptor" della Biblioteca Apostolica Vaticana, e che sono entrato in servizio il 1o ottobre dello stesso anno, andando in pensione a fine ottobre 1978, dopo essere stato mantenuto in servizio un anno dopo il termine normale di 70 anni di età e di 40 anni di lavoro. È vero che ho fatto ‒ in campo scientifico e amministrativo ‒ varie altre cose, ma la catalogazione è probabilmente l'attività che mi piace di più e che, di conseguenza, esercito meglio».
Ecco allora, anzitutto, le caratteristiche richieste a un (buon) catalogatore in ordine alla ricerca dei dati:
• Curiosità. «La curiosità è il motore di ogni ricerca intellettuale. Se [...] il catalogatore si costringe a lavori talvolta ripetitivi e noiosi, la sua ricompensa è di trovarsi davanti a testi che non riconosce subito, a scritture che mettono alla prova le sue conoscenze paleografiche, a particolari intriganti nella costituzione materiale del libro. Il lavoro del catalogatore presenta analogie con quello dell'investigatore o dell'amatore di parole crociate e di problemi enigmistici [si sa che Canart era un appassionato lettore di gialli!]. Uno dei testi che mi ha dato più filo da torcere è una sezione di un codice miscellaneo di tipo raccogliticcio, il Vat. gr. 1823. Quattro fogli contengono un testo anonimo, di controversia teologica. La lettura mi convinse che si trattava di un autore nestoriano, di livello abbastanza buono. Cercai a lungo, senza risultato. Avevo perfino trascritto l'intero testo e l'avevo sottoposto all'uno o all'altro collega, senza esito. Mi stavo chiedendo se non fosse il caso di pubblicarlo, quando, esaminando una nuova collezione di testi patristici, mi capitò tra le mani l'edizione di un'opera di controversia cristologica, la Refutazione scritta da un autore poco conosciuto, Euterio di Tiana, del V secolo; mi bastò dare un'occhiata per riconoscere i temi del mio testo; si trattava in effetti del capitolo 21 dell'opera. Rimasi nello stesso tempo soddisfatto e un po' deluso. Soddisfazione del poliziotto che finalmente mette le mani sul colpevole; delusione per aver perso l'occasione di pubblicare un inedito e di vedere il risultato di lunghe ricerche condensato in una riga di catalogo».
• Pazienza. Ogni lavoro preciso, ripetitivo, a volte noioso, la catalogazione richiede pazienza: non è divertente controllare la composizione dei fascicoli; rilevare, foglio dopo foglio, tutte le filigrane presenti in un codice; verificare, foglio dopo foglio, se un determinato testo non comporta mutilazioni o interruzioni. Chi non si sottomette a questa disciplina rischia, ad esempio, di non accorgersi che il testo che si presenta come un'unica omelia è in realtà composto da due parti da due omelie (fenomeno che può essere dovuto a varie cause, che bisogna diagnosticare: mutilazione materiale del codice stesso, mutilazione del suo modello, distrazione nel copiarlo).
• Perseveranza. Canart richiamava l'esempio citato, di quando, con perseveranza!, era riuscito a identificare un capitolo di Euterio di Tiana nel Vat. gr. 1823, e sintetizzava: «Il buon catalogatore, come il buon segugio, conserva sempre, in un angolo della sua mente, il ricordo dei problemi non risolti. Così, finisce spesso col venirne a capo».
Descriveva poi le qualità richieste a un (buon) catalogatore in ordine alla esposizione dei risultati: «In altri termini‒diceva‒quali sono le qualità di una buona scheda di catalogo».
• Obiettività. «Il catalogo deve prima di tutto mettere a disposizione del ricercatore dati positivi, concreti. Mi ricordo un'osservazione che mi fece il mio connazionale e collega José Ruysschaert, che guidò i miei primi passi da catalogatore. Gli avevo sottoposto l'analisi della struttura materiale, piuttosto complessa, del mio primo manoscritto. Ruysschaert mi raccomandò di distinguere bene tra l'esposizione dei fatti e la loro interpretazione. Egli avrebbe avuto tendenza ad eliminare o a ridurre al massimo l'interpretazione. Ora, sulla distinzione, sono d'accordo: non bisogna cadere nel difetto di taluni giornalisti, che mescolano fatti e commento ai fatti. Beninteso, in certe materie il fatto non si distingue così facilmente dall'ipotesi e [...] è l'ipotesi, cioè l'interpretazione, che mette sulle tracce del fatto. Tuttavia, nel campo della catalogazione, la distinzione rimane valida. Ciò non impedisce che, secondo me, il catalogatore sia spesso il solo a poter correttamente e soprattutto rapidamente, interpretare i fatti che espone; il lettore, interessato innanzitutto al testo, non ha spesso le conoscenze, l'esperienza e l'accesso ripetuto all'originale che gli permetterebbero una giusta interpretazione dei dati».
• Completezza e precisione. «Per noi, catalogatori, alcuni particolari sono talmente banali che avremmo tendenza a ometterne la menzione; non parlo di omissioni dovute alla distrazione (che sono lo stesso noiose: in uno dei cataloghi della Vaticana manca il numero dei fogli di un codice, in un altro la datazione), ma di dati incompleti o non abbastanza precisi: i titoli sono scritti con l'inchiostro o il pigmento rosso (e quale rosso?); qual è la posizione esatta, il tipo di scrittura, il copista dei numeri che segnano i fascicoli? Non è sempre facile ricordarsi di rilevare ed esporre tutti questi dettagli. Come i piloti degli aerei, il catalogatore dovrebbe avere davanti a sé un elenco di tutti i particolari da verificare e spuntare man mano la lista».
• Chiarezza. «Il mio predecessore Giannelli, peraltro di una acribìa e di una cura del dettaglio esemplari, si dilettava di usare un vocabolario latino vario e ricercato nel descrivere i particolari archeologici (e si divertiva talvolta a punzecchiare gli autori che citava; una sua frase mi è rimasta in mente e me la ripeto spesso: "vix credas gemino gaudentem obtutu ita iudicare potuisse" [Si stenta a credere con entrambi gli occhi che qualcuno si sia divertito a esprimere un simile giudizio]); ebbene, sono sicuro che più di un lettore delle sue descrizioni sentirà il bisogno di una traduzione, ormai che la conoscenza del latino si va affievolendo».
Infine Canart riferisce in merito alle conoscenze necessarie:
• Conoscenze esterne. Offro solo una breve citazione (oltre a quanto detto in altra sezione): «Ci si attende che il catalogatore abbia una buona formazione di base nei campi della paleografia e della codicologia. Esistono a questo effetto corsi e manuali, sui quali sarete già informati. Ma, come per molti mestieri, si impara soprattutto dalla pratica».
• Contenuti. Cioè le conoscenze "interne". «I cataloghi generali, che descrivono tutti i manoscritti di un determinato fondo, possono mettere il catalogatore davanti a codici di contenuto estremamente vario. È il caso della porzione del fondo dei Vaticani greci che ebbi da descrivere. Incontrai testi che spaziavano da Omero a composizioni del XVI e talvolta del XVII secolo. Poche sono le materie che non ho affrontate: mi sono imbattuto, nel campo che diremmo oggi letterario, in tutti i generi profani e religiosi; profani: epica, lirica, oratoria, teatro, storia, corrispondenze, eventualmente con i relativi commentari di varie epoche; religiosi: Bibbia, esegetica, poesia sacra, omiletica, agiografia, letteratura ascetica. Nel campo scientifico o pseudoscientifico, ho descritto testi che andavano da ogni specie di filosofia o teologia alla grammatica, la teoria letteraria, l'aritmetica, la geometria, la musica, il diritto profano ed ecclesiastico, l'alchimia, l'astrologia, la magia e la divinazione, ecc. ecc. [...] Davanti ad una tale varietà, come si destreggia il catalogatore? Prima di tutto rinfresca o acquisisce delle conoscenze basilari riguardo a tutto lo scibile accumulato nei manoscritti. [...] Al catalogatore serve un tipo di conoscenza particolare: egli non ha bisogno di capire a fondo i testi che descrive, ma gli basta riconoscerli e ritrovare le edizioni e gli studi che trattano dei manoscritti che li contengono. Certo, riconoscere un testo senza nome d'autore né titolo preciso, magari mutilo, richiede talvolta un esame attento; ma appena ha imboccato la pista giusta, il catalogatore si ferma: per non perdere tempo, egli legge il meno possibile dei testi che descrive e non cerca di penetrarne il senso profondo o di giudicarne il valore; la sua erudizione è tutta di superficie, come quella dei bidelli ‒ i cuistres in francese ‒ che cancellavano il testo dalle lavagne dei professori e ne ritenevano pezzetti di scienza. Tuttavia, il catalogatore trova, nei manoscritti, se lo vuole, ampia materia per note e articoli: come dice la Bibbia, non si deve mettere la museruola all'asino che pigia le messi per estrarne il grano». [A dire il vero si tratta del bue!: cfr. Deut 25,4].
Quella conferenza finisce con una frase di buon senso (si trova molto buon senso negli scritti di Canart): «Vorrei mettervi in guardia contro un eccesso possibile: dal momento che la bibliografia aumenta sempre, si corre il rischio di consacrare tutto il proprio tempo a lavori e ricerche preparatorie, senza più trovare un'ora per redigere il catalogo stesso. "Le mieux est l'ennemi du bien", diciamo in francese. Vari miei colleghi, e io stesso, abbiamo, da questo punto di vista, peccato per eccesso. Passando gli anni, il difetto tende ad aggravarsi. Per portare a termine un catalogo, è meglio essere giovane e un po' incosciente. Perciò temo che la mia carriera di catalogatore sia giunta al suo colofone, come diceva della sua vita un erudito bizantinista fuori del comune, Silvio Giuseppe Mercati. Quindi, concludo laconicamente la mia chiacchierata: largo ai giovani!».
Direi che questa osservazione ne suggerisce un'altra, che ritengo valida per tutti coloro che compiono il "mestiere del catalogatore", condotto avanti per anni e anni, è una vera ascesi, esigente e non sempre gradevole. Resta il fatto che è utile a coloro che hanno bisogno di conoscere. Diciamo che è un vero servizio.
È interessante la confidenza che Canart fece nell'omelia del suo cinquantesimo di ordinazione sacerdotale il 6 maggio 2001 a Bruxelles. Raccontò della preoccupazione che gli venne alla vigilia dell'ordinazione: fare lo studioso o diventare prete? Fu tranquillizzato dalla sua guida spirituale, che non c'era contrapposizione, purché in primo luogo egli scegliesse di voler servire il Signore. Proseguiva nell'omelia: «Sono passati cinquant'anni. In modo inatteso, il Signore ha risolto il mio problema. Una volta che avevo fatto la rinuncia per servirlo, mi ha proposto di servirlo nella via della ricerca scientifica. Appunto come dice s. Paolo [...]: "Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi" (Rm 12,6); e [Paolo] ne enumera alcuni. Posso osare di aggiungerne uno? "Se uno è fatto per catalogare i manoscritti, che cataloghi"». Anche per questo, un servizio nobilissimo, quindi!
Mons. Cesare Pasini
Direttore della Scuola di Biblioteconomia
Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana
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Bibliografia:
Premessa, in Bollettino della Badia greca di Grattaferrata n.s., 15 (1997: 'Οπὠρα. Studi in onore di mgr Paul Canart per il LXX compleanno. A cura di S. LUCÀ e L. PERRIA), pp. 59.
P. CANART, Cinquante ans à la Bibliothèque vaticane, in Le livre et l'estampe 51 (2005), pp. 728 [riproduce la conferenza tenuta a Liège alla Società Dante Alighieri il 24 novembre 2004].
P. CANART, La paléographie estelle un art ou une science?, in Scriptorium 60 (2006), pp. 159185 [riproduce, con integrazioni bibliografiche e altre varianti, una conferenza tenuta a Ginevra alla Facoltà di Lettere nel 1996, poi a Parigi all'istituto italiano di cultura il 5 marzo 1997, e infine a Roma al Dipartimento di Storia dell'Università di Tor Vergata il 23 aprile 1997].
P. CANART, Consigli fraterni a giovani catalogatori di libri manoscritti, in Gazette du livre medievale 50 (2007), pp. 113 [la riproduce la conferenza, intitolata Riflessioni di un catalogatore di libri manoscritti, tenuta a Roma all'Università di Tor Vergata l'11 novembre 2004, consultata alla pagina web http://cea.unicas.it/matedida/testi/canart1.htm il 15 settembre 2018].
R. FARINA, Omelia alla S. Messa nel trigesimo giorno della scomparsa di mons. Paul Canart, pubblicata alla pagina web http://pontificiaparrocchiasantanna.it/notizia/608 [consultata il 15 settembre].
Gli altri documenti citati sono conservati nell'archivio di Paul Canart, in attesa di ordinamento e, successivamente, di inventariazione.
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